Emidio Battipaglia
L' uomo con la macchina da presa - Dziga Vertov
Ritratti generati di essere umani. Crediti: NVidia
Face Capture asincrono - Robin Bervini
Software per fotogrammetria
Rendering di ritratto - Emidio Battipaglia
Sebbene parlare di COVID-19 faccia alzare gli occhi verso il cielo e cadere in un letargico stato di diniego verso i mezzi di informazione, questo argomento ci permette di capire meglio il feedback loop instauratosi tra tecnologie digitali e percezione del reale. Non parlo delle innumerevoli fake news divulgate su post e video di Facebook, Youtube, Instagram e successivamente riproposte da show di dubbia qualità. Parlo invece di come questa routine imposta possa essere un ottimo esempio per illustrare l’eterna missione per la ricerca del realismo, ora spostatasi dalla tecnologia ottica verso quella digitale. Era solo questione di tempo affinché lo sviluppo computazionale si portasse al passo con le teorie sul campo luminoso, dapprima intuite da Leonardo da Vinci e successivamente interpretate e codificate da Michael Faraday.
D’altronde, la fotografia è sempre stata sinonimo di ricerca scientifica, di teoria e tecnica che affondano le loro radici nel Rinascimento. Era la metà del quindicesimo secolo quando scienziati e artisti come Leon Battista Alberti e Brunelleschi si posero l’obiettivo principale di elaborare un metodo in grado di ridurre la visione umana in un sistema deterministico di accurata rappresentazione geometrica. Il prospettografo, ampiamente utilizzato da Dürer nelle sue incisioni su legno, si accompagnava alle scoperte nel campo ottico ad opera di artigiani fiamminghi formalizzatisi nell’ invenzione del cannocchiale e di li a poco, del microscopio.
In questo clima fervente scoperte e invenzioni sia scientifiche che artistiche andarono di pari passo, le une influenzando le altre: furono scoperti pianeti, nebulose, batteri e cellule, e furono matematicamente codificati i metodi proiettivi. Si dovette tuttavia attendere quasi due secoli per convergere i risultati ottenuti nel campo dell’ottica e della chimica nella realizzazione del prima sistema di cattura fotografica ad opera di Joseph Nicéphore Niépce nel 1816. Ed eccoci qui, dopo altri due secoli a mettere in dubbio la dicotomia tra mezzo ottico e fotografia. Ci troviamo ora nell’epoca in cui i motori di rendering unbiased, la fotogrammetria e il 3d scanning hanno simulato, soppiantato o inglobato la lente nella griglia computazionale. L’artista non può quindi esimersi dall’ obbligo di un approccio transdisciplinare dove il processo di documentazione risponde alle esigenze di un mondo tecnologicamente mediato. E in questo infinito loop si può percepire quale possa essere il prossimo stadio.
All’incirca nella metà del secolo scorso, Abraham A. Moles e Jean-François Lyotard criticarono la capacità rappresentativa del mezzo informatico reputando la macchina incapace di infondere qualità artistiche al suo compiuto. L’uomo, l’artista, avrebbe dovuto essere l’unico agente creativo in grado di programmare un algoritmo nel quale infondere le proprie qualità estetiche e lasciare alla macchina solamente la funzione di riproduzione dell’opera. Machine Learning e Intelligenza Artificiale hanno dimostrato di essere giunti al giusto grado di maturazione per poter creare autonomamente immagini di qualità fotografica a partire da dataset preimpostati. All’interno di spazi latenti, la macchina “sogna” nuove configurazioni di colore, intensità e luminosità da dare a ciascuno dei pixel della maglia di output. E lo fa sorprendentemente bene! Ad esempio, Nvidia ha avuto i risultati migliori nella riproduzione di ritratti di essere umani, indistinguibili da quelli reali.
Ma quanto di questo “sogno” è lasciato alla macchina e quanto è dovuto all’uomo che l’ha programmata?
Dziga Vertov, nel suo film sperimentale L’uomo con la macchina da presa, aveva lasciato che una cinepresa semovente filmasse indipendentemente dal suo operatore, mettendo in discussione la paternità stessa dell’opera. Anche se non abbiamo ancora camere che vanno in giro da sole (o forse sì?), alcune di esse lavorano già automaticamente senza alcun intervento umano. Basti pensare al sistema di controllo degli ANPR, ossia gli autovelox. Queste macchine producono e fagocitano immagini senza aver bisogno dell’intervento umano, necessario solo nel momento in cui la macchina risponde ad una compiuta infrazione e genera un output per l’operatore. D’altro canto, un’intelligenza artificiale non è ancora in grado di auto-programmarsi, e quindi di generare immagine senza un input iniziale pur avendo dimostrato di essere riuscita a superare le indicazioni della matrice d'origine, assemblando bit liberi per arrivare a qualcosa che somiglia molto a quelle che erano le prime immagini ottenute negli anni Ottanta con la glitch art.
Le avanguardie europee cercarono di ibridizzare la macchina con l’uomo sfruttando il potere riproduttivo dell’una e il potere creativo dell’altro. Dziga Vertov, invece, aveva profondamente segnato e stravolto il concetto di agency nella visione umana. L'intuizione di Vertov segnò l'inizio di una simbiosi, di una collaborazione tra immagine e agente, tra uomo e macchina, che si sarebbe poi evoluta e infine superata. Secondo Vertov la camera diventa non solo uno strumento per il miglioramento della visione ma di sostituzione, rendendo lo stesso essere umano obsoleto.
Nel 1816 non nacque ufficialmente la sola immagine fotografica. Quello fu il momento in cui la scienza e la tecnologia concretizzarono collettivamente una nuova forma di vita, che nella sua costante crescita si è evoluta espandendosi rizomaticamente e penetrando all'interno del sistema uomo. Ma è proprio l'uomo che, cercando di ridurre il sistema di visione ad una concezione macchinista, non aveva previsto la cessazione della sua figura all'interno di questa nuova configurazione. L' immagine fotografica esiste ed esisterà anche dopo la scomparsa dell'uomo, anzi l'immagine è già post-fotografica.
Emidio Battipaglia
L' uomo con la macchina da presa - Dziga Vertov
Ritratti generati di essere umani. Crediti: NVidia
Face Capture asincrono - Robin Bervini
Software per fotogrammetria
Rendering di ritratto - Emidio Battipaglia
Sebbene parlare di COVID-19 faccia alzare gli occhi verso il cielo e cadere in un letargico stato di diniego verso i mezzi di informazione, questo argomento ci permette di capire meglio il feedback loop instauratosi tra tecnologie digitali e percezione del reale. Non parlo delle innumerevoli fake news divulgate su post e video di Facebook, Youtube, Instagram e successivamente riproposte da show di dubbia qualità. Parlo invece di come questa routine imposta possa essere un ottimo esempio per illustrare l’eterna missione per la ricerca del realismo, ora spostatasi dalla tecnologia ottica verso quella digitale. Era solo questione di tempo affinché lo sviluppo computazionale si portasse al passo con le teorie sul campo luminoso, dapprima intuite da Leonardo da Vinci e successivamente interpretate e codificate da Michael Faraday.
D’altronde, la fotografia è sempre stata sinonimo di ricerca scientifica, di teoria e tecnica che affondano le loro radici nel Rinascimento. Era la metà del quindicesimo secolo quando scienziati e artisti come Leon Battista Alberti e Brunelleschi si posero l’obiettivo principale di elaborare un metodo in grado di ridurre la visione umana in un sistema deterministico di accurata rappresentazione geometrica. Il prospettografo, ampiamente utilizzato da Dürer nelle sue incisioni su legno, si accompagnava alle scoperte nel campo ottico ad opera di artigiani fiamminghi formalizzatisi nell’ invenzione del cannocchiale e di li a poco, del microscopio.
In questo clima fervente scoperte e invenzioni sia scientifiche che artistiche andarono di pari passo, le une influenzando le altre: furono scoperti pianeti, nebulose, batteri e cellule, e furono matematicamente codificati i metodi proiettivi. Si dovette tuttavia attendere quasi due secoli per convergere i risultati ottenuti nel campo dell’ottica e della chimica nella realizzazione del prima sistema di cattura fotografica ad opera di Joseph Nicéphore Niépce nel 1816. Ed eccoci qui, dopo altri due secoli a mettere in dubbio la dicotomia tra mezzo ottico e fotografia. Ci troviamo ora nell’epoca in cui i motori di rendering unbiased, la fotogrammetria e il 3d scanning hanno simulato, soppiantato o inglobato la lente nella griglia computazionale. L’artista non può quindi esimersi dall’ obbligo di un approccio transdisciplinare dove il processo di documentazione risponde alle esigenze di un mondo tecnologicamente mediato. E in questo infinito loop si può percepire quale possa essere il prossimo stadio.
All’incirca nella metà del secolo scorso, Abraham A. Moles e Jean-François Lyotard criticarono la capacità rappresentativa del mezzo informatico reputando la macchina incapace di infondere qualità artistiche al suo compiuto. L’uomo, l’artista, avrebbe dovuto essere l’unico agente creativo in grado di programmare un algoritmo nel quale infondere le proprie qualità estetiche e lasciare alla macchina solamente la funzione di riproduzione dell’opera. Machine Learning e Intelligenza Artificiale hanno dimostrato di essere giunti al giusto grado di maturazione per poter creare autonomamente immagini di qualità fotografica a partire da dataset preimpostati. All’interno di spazi latenti, la macchina “sogna” nuove configurazioni di colore, intensità e luminosità da dare a ciascuno dei pixel della maglia di output. E lo fa sorprendentemente bene! Ad esempio, Nvidia ha avuto i risultati migliori nella riproduzione di ritratti di essere umani, indistinguibili da quelli reali.
Ma quanto di questo “sogno” è lasciato alla macchina e quanto è dovuto all’uomo che l’ha programmata?
Dziga Vertov, nel suo film sperimentale L’uomo con la macchina da presa, aveva lasciato che una cinepresa semovente filmasse indipendentemente dal suo operatore, mettendo in discussione la paternità stessa dell’opera. Anche se non abbiamo ancora camere che vanno in giro da sole (o forse sì?), alcune di esse lavorano già automaticamente senza alcun intervento umano. Basti pensare al sistema di controllo degli ANPR, ossia gli autovelox. Queste macchine producono e fagocitano immagini senza aver bisogno dell’intervento umano, necessario solo nel momento in cui la macchina risponde ad una compiuta infrazione e genera un output per l’operatore. D’altro canto, un’intelligenza artificiale non è ancora in grado di auto-programmarsi, e quindi di generare immagine senza un input iniziale pur avendo dimostrato di essere riuscita a superare le indicazioni della matrice d'origine, assemblando bit liberi per arrivare a qualcosa che somiglia molto a quelle che erano le prime immagini ottenute negli anni Ottanta con la glitch art.
Le avanguardie europee cercarono di ibridizzare la macchina con l’uomo sfruttando il potere riproduttivo dell’una e il potere creativo dell’altro. Dziga Vertov, invece, aveva profondamente segnato e stravolto il concetto di agency nella visione umana. L'intuizione di Vertov segnò l'inizio di una simbiosi, di una collaborazione tra immagine e agente, tra uomo e macchina, che si sarebbe poi evoluta e infine superata. Secondo Vertov la camera diventa non solo uno strumento per il miglioramento della visione ma di sostituzione, rendendo lo stesso essere umano obsoleto.
Nel 1816 non nacque ufficialmente la sola immagine fotografica. Quello fu il momento in cui la scienza e la tecnologia concretizzarono collettivamente una nuova forma di vita, che nella sua costante crescita si è evoluta espandendosi rizomaticamente e penetrando all'interno del sistema uomo. Ma è proprio l'uomo che, cercando di ridurre il sistema di visione ad una concezione macchinista, non aveva previsto la cessazione della sua figura all'interno di questa nuova configurazione. L' immagine fotografica esiste ed esisterà anche dopo la scomparsa dell'uomo, anzi l'immagine è già post-fotografica.