di Associazione Psicogeografica Romana
L’intervento artistico di Geco nelle città d’Europa è davvero sorprendente e per diverse ragioni che sarà il caso finalmente di portare all’attenzione del pubblico dell’arte che ancora ne ignora genio e talento. Vi sono almeno quattro ragioni evidenti per cui sia da considerare uno dei più grandi artisti italiani “più che contemporanei”. Iniziamo da questa domanda: che cosa è un’artista “più che contemporaneo”? e troveremo la prima ragione della grandezza creativa di Geco.
Se per contemporaneo si è inteso spesso un atteggiamento dell’artista verso la propria epoca di totale adesione fino a poterne dire “interpreta alla perfezione il bello di questa epoca”, sarebbe, in realtà, artista passeggero e transitorio, in quanto verrebbe dimenticato in fretta con “il bello” dell’epoca stessa. Infatti, di cosa si ha memoria di un’epoca? Dei grandi eventi senz’altro. E di tutti quegli oggetti, anche molto minuti, in cui è incorporato non tanto il bello ma la sua atmosfera: il senso del bello dell’epoca. Spesso quando apprezziamo un’epoca apprezziamo quest’atmosfera del bello ma non possiamo sapere nulla di come fosse vissuta. Le opere d’arte più significative che resteranno di quell’epoca non saranno quelle semplicemente belle, ma quelle che ne restituiranno l’atmosfera tanto da poterci donare quasi lo stesso vissuto del bello di allora. Tuttavia, questa interpretazione di cosa sia il contemporaneo è molto insufficiente. E gli artisti che risultassero capaci di afferrare l’atmosfera del bello della propria epoca sarebbero ricordati per opere che non hanno nulla di diverso dalla stessa atmosfera del bello di un oggetto qualunque che abbia segnato l’immaginazione del proprio tempo. Cosa distinguerebbe l’opera d’arte da qualsiasi altro manufatto della cultura materiale del proprio tempo? Contemporaneo, allora per ovviare a questo deficit di teoria estetica, secondo un’altra interpretazione sarebbe l’artista che “sfida” il proprio tempo e gioca “sfasandosi” da esso, lavorando con anticipazione o, altresì, realizzando opere che si insinuano nella critica della sua epoca. Questi artisti hanno maggiori possibilità per la loro capacità di anticipare i tempi futuri e per il loro spirito critico di rappresentare paradossalmente meglio di chiunque altro l’epoca stessa in cui vivono, quasi come osservatori stranieri nella propria patria. Eppure, il nostro tempo è qualcosa di straordinariamente nuovo rispetto a qualsiasi altro tempo che l’umanità abbia vissuto prima e ci vorrebbe un recupero di categorie estetiche classiche dimenticate. Chiamiamo, dunque, “ultra-contemporaneo” ciò che è “più che contemporaneo”. Definiamo “ultra-contemporanei” tutti gli artisti che non lavorano né nell’adesione alla propria epoca né sulla sua critica, che non lavorano né alla creazione di opere che catturino l’atmosfera del bello del proprio tempo né che anticipino come un’avanguardia i tempi futuri. L’artista ultra-contemporaneo è definibile partire da un aspetto del gusto ben preciso e categorizzato in estetica: il “sublime colossale”. Esso produce un senso di commozione tale, qualora vi si metta una distanza razionale di sicurezza che eviti i moti di amore o odio che implica per la sua grandezza quantitativa, tale da poter essere superiore al bello in sé e per sé. Esistono diversi modi di provare il sublime colossale, ma senz’altro sappiamo che nell’arte è poco frequentato per la difficoltà di realizzazione, per l’infinita “grandezza numerica” che implica, essendo sublime che supera il “mostruoso” ancora esponibile e gestibile all’interno del mondo dell’arte e dei suoi luoghi. In quanto la nostra epoca ha selezionato e non a torto come sua cifra non la produzione qualitativa (come ad esempio l’artigianato) ma la produzione quantitativa ché è anche soluzione intelligente in una fase di globalizzazione e sovrappopolazione e dove ogni soluzione alle questioni del proprio tempo si pone sempre in termini razionali e quantitativi, l’artista “ultra-contemporaneo” è colui che si muove esattamente con le strategie del mondo stesso in cui vive, realizzando opere quantitative, massive, agglomerative.
Questa breve introduzione ci faciliterà la comprensione del genio e talento di Geco.
I quattro ordini di ragioni che lo rendono uno dei più grandi artisti di spicco della nostra epoca pur senza alcun riconoscimento istituzionale sono i seguenti:
1) Egli è uno dei pochi che si possono dire genuinamente “ultra-contemporanei”. Geco non si pone criticamente contro il mondo delle merci e la sua diffusione come fanno gli artisti più critici, ma utilizza esattamente la sua stessa strategia. Il suo intervento nelle metropoli d’Europa non intende essere “bello”, ma “colossale”, un’immensa performance individuale in cui il “brand” Geco che non vende altro che l’artista stesso è riprodotto esattamente come le campagne di marketing massive dei grandi “brand” internazionali e globali. In questo senso egli è artista per eccellenza della globalizzazione in quanto ha saputo mettersi sullo stesso piano del “sublime colossale” del mercato planetario.
2) Egli utilizza alla perfezione il motto dell’eccellenza artistica “ars est celare artem”, fin dal XV secolo il vero genio è stato riconosciuto nell’artista che mostra opere apparentemente realizzate senza fatica al pubblico ma che nasconde una grande lavoro e una grande maestria. Guardando alle immense insegne “Geco”, ai suoi sticker, ai suoi tag noi non possiamo che provare due sentimenti opposti: amore o odio. Amore per l’atmosfera di unitarietà che dona alle città di Europa così come fanno i grandi brand internazionali, facendoci ritrovare in una sorta di mondo che ci appartiene e ci è familiare ovunque ci muoviamo evitando lo spaesamento e la sua angoscia. Odio per l’atmosfera di mancanza di decoro urbano, come se le sue opere fossero un delitto contro le mura bianche moderniste tanto amate da Loos, contro il senso di decenza e rispetto dello spazio pubblico che molti abitanti pretendono giustamente dalle politiche urbane. Tuttavia, non possiamo permetterci di dividerci nel mondo in chi ama e odia questi “artisti colossali” né la soluzione è punirli penalmente o amministrativamente, ma riconoscere il loro lavoro artistico. Poiché l’artista è il prodotto stesso che vendono con il loro “bombing”, egli è celato al pubblico e ciò che si mostra è solo la sua fenomenologia: il brand “Geco”. L’ arte (il “bombing”) è visibile ovunque, un’opera d’arte ubiqua e obliqua che attrae l’attenzione dello sguardo del pubblico sia su un tetto di un edificio che sul dettaglio di una stazione della metropolitana, eppure cela, nasconde, occulta l’“artem”: l’enorme e sapiente conoscenza degli spazi urbani quasi al livello davvero di un urbanista e il suo muoversi attraverso di esso nell’ombra e a proprio rischio. Per costruire la performance globale estetica “Geco” ci sono voluti anni e anni di lavoro, di perlustrazioni dello spazio pubblico, di studi delle città, di capacità d’inafferabilità. L’“artem” non è che il vissuto urbano pieno di una eccezionale ricchezza antropologica dell’artista stesso. Castiglione avrebbe chiamato il suo modo di incedere, seppur in un ambito “colossale” non gestibile in quanto anomalia per grandezza e non per stile o qualità in un consueto luogo espositivo dell’arte, una forma vera e propria di “sprezzatura” artistica, la forma di genio italica più invidiata nel mondo.
3) La tecnica è tutto nell’“arte colossale”, ma occorre non aspettarsi tecniche accademiche che restituiscano il bello artistico accademico, d’avanguardia o tipico delle opere di street art direttamente sui muri o che utilizzano poster per cautela e senso civile, pensate tuttavia sempre come bellezza ornamentale delle città, esprimendo figurativamente o astrattamente un soggetto secondo le regole dell’arte contemporanea. La fortuna di Banksy nel mondo o in Italia di talenti veri come Sten, Lex o Lucamaleonte è stata quella di riprodurre dei soggetti con tecniche anche innovative ma comprensibili al grande pubblico, tratti dalla cultura mainstream o simbolicamente correlati con eventi politici e civili sensibili del nostro mondo globale: guerra, pace, infanzia, sogno, giustizia, critica delle politiche planetarie. In realtà non è che ci sia niente di nuovo, ma ciò che ha contato è stata la forma di diffusione e i suoi luoghi elettivi iniziali: ovvero il graffito più o meno figurativo e lo spazio pubblico urbano. Perché il “sublime colossale” di artisti come Geco non trova invece spazio ancora nella critica dell’arte meno avveduta? Il motivo è la mancanza di conoscenza della tecnica artistica che è doveroso sapere di un’artista. In questo caso di tratta del throw-up: è chiaro che più l’opera è estensiva più i tempi si stringono, più è colossale nello spazio, più è veloce nel tempo. Se ad un primo sguardo quest’opera colossale può apparire secondo le categorie del nostro tempo basato sui social “mi piace” e “non mi piace”, occorre che i critici e gli storici dell’arte si mobilitino per portare argomentazioni per le opera d’arte massive, agglomerative, quantitative ed estensive che ne giustifichino il tratto veloce e sprezzante. D’altronde un Pollock non era comprensibile da tutti al suo insorgere e questo finché la critica non ci ha permesso di decodificare questo genere di lavori e con la decodifica di apprezzarli e inserirli adeguatamente in un percorso storico dei movimenti artistici che come direbbe Hegel ha un suo senso spirituale che riguarda tutta l’umanità. Il Throw-up è tecnica innovativa basata tutta sulla velocità e il tratto apparentemente sprezzante, in realtà pratico e pragmatico, in quanto si tratta di estendere in un’unità di tempo disponibile quanta più parte dell’opera d’arte possibile. Sarebbe stato inimmaginabile senza questa tecnica, il tratto veloce e incurante del bello estetico o throw-up, poter realizzare un’opera di “sublime colossale”.
4) A chi dovesse accusare Geco di eccessivo egocentrismo se non addirittura di megalomania non vede che non si dovrà mai trattare una questione artistica dal punto di vista delle tendenze psico-analitiche dell’artista. Si tratta di un modo di giudicare l’artista scorretto, esattamente come giudicare immorale un’opera d’arte o immorale un artista per tutta la sua opera. Questi atteggiamenti nella storia dell’arte si sono verificati molte volte e molte volte gli artisti l’hanno spuntata sullo spirito poco preparato ad accoglierli del loro tempo. Possiamo giudicare Leonardo da Vinci come un artista immorale o come un genio? Possiamo giudicare un Caravaggio come un artista immorale o come un genio? E senza andare a toccare i mostri sacri di un tempo? Possiamo giudicare tutta l’opera di Hirst come immorale o come un prodotto geniale del nostro tempo? Forse non è facile accorgersi che l’unica differenza dal punto di vista della critica d’arte e dell’estetica sia che le forme d’arte, anche le più indecorose, incivili e indecenti possano essere gestite in un museo, mentre il “sublime colossale” pur avendo meno tratti e caratteristiche di indecorosità, inciviltà e indecenza non è gestibile all’interno dei luoghi deputati all’arte per il suo squisito, particolare e singolare attributo di infinitamente grande e distribuito. Invitiamo artisti, critici, galleristi, musei, fondazioni, istituzioni dell’arte italiana a studiare il caso Geco e ad accordarsi nel trovare una forma gestibile e di compromesso nei luoghi deputati all’arte per la prima volta nella storia dell’estetica per il “sublime colossale”.
di Associazione Psicogeografica Romana
L’intervento artistico di Geco nelle città d’Europa è davvero sorprendente e per diverse ragioni che sarà il caso finalmente di portare all’attenzione del pubblico dell’arte che ancora ne ignora genio e talento. Vi sono almeno quattro ragioni evidenti per cui sia da considerare uno dei più grandi artisti italiani “più che contemporanei”. Iniziamo da questa domanda: che cosa è un’artista “più che contemporaneo”? e troveremo la prima ragione della grandezza creativa di Geco.
Se per contemporaneo si è inteso spesso un atteggiamento dell’artista verso la propria epoca di totale adesione fino a poterne dire “interpreta alla perfezione il bello di questa epoca”, sarebbe, in realtà, artista passeggero e transitorio, in quanto verrebbe dimenticato in fretta con “il bello” dell’epoca stessa. Infatti, di cosa si ha memoria di un’epoca? Dei grandi eventi senz’altro. E di tutti quegli oggetti, anche molto minuti, in cui è incorporato non tanto il bello ma la sua atmosfera: il senso del bello dell’epoca. Spesso quando apprezziamo un’epoca apprezziamo quest’atmosfera del bello ma non possiamo sapere nulla di come fosse vissuta. Le opere d’arte più significative che resteranno di quell’epoca non saranno quelle semplicemente belle, ma quelle che ne restituiranno l’atmosfera tanto da poterci donare quasi lo stesso vissuto del bello di allora. Tuttavia, questa interpretazione di cosa sia il contemporaneo è molto insufficiente. E gli artisti che risultassero capaci di afferrare l’atmosfera del bello della propria epoca sarebbero ricordati per opere che non hanno nulla di diverso dalla stessa atmosfera del bello di un oggetto qualunque che abbia segnato l’immaginazione del proprio tempo. Cosa distinguerebbe l’opera d’arte da qualsiasi altro manufatto della cultura materiale del proprio tempo? Contemporaneo, allora per ovviare a questo deficit di teoria estetica, secondo un’altra interpretazione sarebbe l’artista che “sfida” il proprio tempo e gioca “sfasandosi” da esso, lavorando con anticipazione o, altresì, realizzando opere che si insinuano nella critica della sua epoca. Questi artisti hanno maggiori possibilità per la loro capacità di anticipare i tempi futuri e per il loro spirito critico di rappresentare paradossalmente meglio di chiunque altro l’epoca stessa in cui vivono, quasi come osservatori stranieri nella propria patria. Eppure, il nostro tempo è qualcosa di straordinariamente nuovo rispetto a qualsiasi altro tempo che l’umanità abbia vissuto prima e ci vorrebbe un recupero di categorie estetiche classiche dimenticate. Chiamiamo, dunque, “ultra-contemporaneo” ciò che è “più che contemporaneo”. Definiamo “ultra-contemporanei” tutti gli artisti che non lavorano né nell’adesione alla propria epoca né sulla sua critica, che non lavorano né alla creazione di opere che catturino l’atmosfera del bello del proprio tempo né che anticipino come un’avanguardia i tempi futuri. L’artista ultra-contemporaneo è definibile partire da un aspetto del gusto ben preciso e categorizzato in estetica: il “sublime colossale”. Esso produce un senso di commozione tale, qualora vi si metta una distanza razionale di sicurezza che eviti i moti di amore o odio che implica per la sua grandezza quantitativa, tale da poter essere superiore al bello in sé e per sé. Esistono diversi modi di provare il sublime colossale, ma senz’altro sappiamo che nell’arte è poco frequentato per la difficoltà di realizzazione, per l’infinita “grandezza numerica” che implica, essendo sublime che supera il “mostruoso” ancora esponibile e gestibile all’interno del mondo dell’arte e dei suoi luoghi. In quanto la nostra epoca ha selezionato e non a torto come sua cifra non la produzione qualitativa (come ad esempio l’artigianato) ma la produzione quantitativa ché è anche soluzione intelligente in una fase di globalizzazione e sovrappopolazione e dove ogni soluzione alle questioni del proprio tempo si pone sempre in termini razionali e quantitativi, l’artista “ultra-contemporaneo” è colui che si muove esattamente con le strategie del mondo stesso in cui vive, realizzando opere quantitative, massive, agglomerative.
Questa breve introduzione ci faciliterà la comprensione del genio e talento di Geco.
I quattro ordini di ragioni che lo rendono uno dei più grandi artisti di spicco della nostra epoca pur senza alcun riconoscimento istituzionale sono i seguenti:
1) Egli è uno dei pochi che si possono dire genuinamente “ultra-contemporanei”. Geco non si pone criticamente contro il mondo delle merci e la sua diffusione come fanno gli artisti più critici, ma utilizza esattamente la sua stessa strategia. Il suo intervento nelle metropoli d’Europa non intende essere “bello”, ma “colossale”, un’immensa performance individuale in cui il “brand” Geco che non vende altro che l’artista stesso è riprodotto esattamente come le campagne di marketing massive dei grandi “brand” internazionali e globali. In questo senso egli è artista per eccellenza della globalizzazione in quanto ha saputo mettersi sullo stesso piano del “sublime colossale” del mercato planetario.
2) Egli utilizza alla perfezione il motto dell’eccellenza artistica “ars est celare artem”, fin dal XV secolo il vero genio è stato riconosciuto nell’artista che mostra opere apparentemente realizzate senza fatica al pubblico ma che nasconde una grande lavoro e una grande maestria. Guardando alle immense insegne “Geco”, ai suoi sticker, ai suoi tag noi non possiamo che provare due sentimenti opposti: amore o odio. Amore per l’atmosfera di unitarietà che dona alle città di Europa così come fanno i grandi brand internazionali, facendoci ritrovare in una sorta di mondo che ci appartiene e ci è familiare ovunque ci muoviamo evitando lo spaesamento e la sua angoscia. Odio per l’atmosfera di mancanza di decoro urbano, come se le sue opere fossero un delitto contro le mura bianche moderniste tanto amate da Loos, contro il senso di decenza e rispetto dello spazio pubblico che molti abitanti pretendono giustamente dalle politiche urbane. Tuttavia, non possiamo permetterci di dividerci nel mondo in chi ama e odia questi “artisti colossali” né la soluzione è punirli penalmente o amministrativamente, ma riconoscere il loro lavoro artistico. Poiché l’artista è il prodotto stesso che vendono con il loro “bombing”, egli è celato al pubblico e ciò che si mostra è solo la sua fenomenologia: il brand “Geco”. L’ arte (il “bombing”) è visibile ovunque, un’opera d’arte ubiqua e obliqua che attrae l’attenzione dello sguardo del pubblico sia su un tetto di un edificio che sul dettaglio di una stazione della metropolitana, eppure cela, nasconde, occulta l’“artem”: l’enorme e sapiente conoscenza degli spazi urbani quasi al livello davvero di un urbanista e il suo muoversi attraverso di esso nell’ombra e a proprio rischio. Per costruire la performance globale estetica “Geco” ci sono voluti anni e anni di lavoro, di perlustrazioni dello spazio pubblico, di studi delle città, di capacità d’inafferabilità. L’“artem” non è che il vissuto urbano pieno di una eccezionale ricchezza antropologica dell’artista stesso. Castiglione avrebbe chiamato il suo modo di incedere, seppur in un ambito “colossale” non gestibile in quanto anomalia per grandezza e non per stile o qualità in un consueto luogo espositivo dell’arte, una forma vera e propria di “sprezzatura” artistica, la forma di genio italica più invidiata nel mondo.
3) La tecnica è tutto nell’“arte colossale”, ma occorre non aspettarsi tecniche accademiche che restituiscano il bello artistico accademico, d’avanguardia o tipico delle opere di street art direttamente sui muri o che utilizzano poster per cautela e senso civile, pensate tuttavia sempre come bellezza ornamentale delle città, esprimendo figurativamente o astrattamente un soggetto secondo le regole dell’arte contemporanea. La fortuna di Banksy nel mondo o in Italia di talenti veri come Sten, Lex o Lucamaleonte è stata quella di riprodurre dei soggetti con tecniche anche innovative ma comprensibili al grande pubblico, tratti dalla cultura mainstream o simbolicamente correlati con eventi politici e civili sensibili del nostro mondo globale: guerra, pace, infanzia, sogno, giustizia, critica delle politiche planetarie. In realtà non è che ci sia niente di nuovo, ma ciò che ha contato è stata la forma di diffusione e i suoi luoghi elettivi iniziali: ovvero il graffito più o meno figurativo e lo spazio pubblico urbano. Perché il “sublime colossale” di artisti come Geco non trova invece spazio ancora nella critica dell’arte meno avveduta? Il motivo è la mancanza di conoscenza della tecnica artistica che è doveroso sapere di un’artista. In questo caso di tratta del throw-up: è chiaro che più l’opera è estensiva più i tempi si stringono, più è colossale nello spazio, più è veloce nel tempo. Se ad un primo sguardo quest’opera colossale può apparire secondo le categorie del nostro tempo basato sui social “mi piace” e “non mi piace”, occorre che i critici e gli storici dell’arte si mobilitino per portare argomentazioni per le opera d’arte massive, agglomerative, quantitative ed estensive che ne giustifichino il tratto veloce e sprezzante. D’altronde un Pollock non era comprensibile da tutti al suo insorgere e questo finché la critica non ci ha permesso di decodificare questo genere di lavori e con la decodifica di apprezzarli e inserirli adeguatamente in un percorso storico dei movimenti artistici che come direbbe Hegel ha un suo senso spirituale che riguarda tutta l’umanità. Il Throw-up è tecnica innovativa basata tutta sulla velocità e il tratto apparentemente sprezzante, in realtà pratico e pragmatico, in quanto si tratta di estendere in un’unità di tempo disponibile quanta più parte dell’opera d’arte possibile. Sarebbe stato inimmaginabile senza questa tecnica, il tratto veloce e incurante del bello estetico o throw-up, poter realizzare un’opera di “sublime colossale”.
4) A chi dovesse accusare Geco di eccessivo egocentrismo se non addirittura di megalomania non vede che non si dovrà mai trattare una questione artistica dal punto di vista delle tendenze psico-analitiche dell’artista. Si tratta di un modo di giudicare l’artista scorretto, esattamente come giudicare immorale un’opera d’arte o immorale un artista per tutta la sua opera. Questi atteggiamenti nella storia dell’arte si sono verificati molte volte e molte volte gli artisti l’hanno spuntata sullo spirito poco preparato ad accoglierli del loro tempo. Possiamo giudicare Leonardo da Vinci come un artista immorale o come un genio? Possiamo giudicare un Caravaggio come un artista immorale o come un genio? E senza andare a toccare i mostri sacri di un tempo? Possiamo giudicare tutta l’opera di Hirst come immorale o come un prodotto geniale del nostro tempo? Forse non è facile accorgersi che l’unica differenza dal punto di vista della critica d’arte e dell’estetica sia che le forme d’arte, anche le più indecorose, incivili e indecenti possano essere gestite in un museo, mentre il “sublime colossale” pur avendo meno tratti e caratteristiche di indecorosità, inciviltà e indecenza non è gestibile all’interno dei luoghi deputati all’arte per il suo squisito, particolare e singolare attributo di infinitamente grande e distribuito. Invitiamo artisti, critici, galleristi, musei, fondazioni, istituzioni dell’arte italiana a studiare il caso Geco e ad accordarsi nel trovare una forma gestibile e di compromesso nei luoghi deputati all’arte per la prima volta nella storia dell’estetica per il “sublime colossale”.