di Davide Mazzocco
Non torneremo alla normalità,
perché la normalità era il problema.
- Matías Segura, Cile, autunno 2019
Il virus Covid-19 è il sogno realizzato dei cronofagi. Con buona pace di chi lo pensa, non sarà il nuovo coronavirus ad assestare il colpo mortale al sistema capitalistico, anzi, sul breve e medio termine, la pandemia in corso sta portando a livelli parossistici le pratiche predatorie del neoliberismo.
Pensiamoci bene. Esaminiamo l’emergenza Covid-19 nella sua dimensione temporale, pensiamo alla spaccatura che ha creato in pochi giorni fra chi è costretto a uscire di casa e a mettere il proprio corpo in pericolo, rischiando la propria salute, e chi si trova nel proprio domicilio, con limitate possibilità di contrarre il virus. Da una parte, quindi, persone che compiono – negli ospedali, sulle strade e nelle fabbriche – una vera e propria lotta contro il tempo. Dall’altra persone che si ritrovano a gestire un capitale di tempo ritrovato con il quale riscoprire attività trascurate per anni o mai sperimentate prima d’ora.
Un fatto. Nelle prime due settimane di lockdown, il lievito è diventato pressoché introvabile: all’interno dei punti vendita della Coop si è registrato un +122% di acquisti. La difficoltà nel reperire questo ingrediente fondamentale per la preparazione di pasta, pane e torte fatti in casa rappresenta un’interessante cartina di tornasole della traumatica crono-disuguaglianza che sta spaccando in due la nostra società.
Da una parte abbiamo persone che si possono permettere il lusso di preparare prodotti partendo dalle materie prime (farina, acqua, lievito, sale, olio) e dall’altra abbiamo persone costrette a lavorare su turni disumani e a nutrirsi verosimilmente con cibi pronti o alimenti di facile e rapida preparazione, i surgelati per esempio.
Nel tempo dilatato della quarantena alcune persone hanno il tempo necessario per lavorare l’impasto, lasciarlo riposare e cuocerlo. Un lavoro ben fatto non è questione di minuti ma di ore. Anche se ci si trova in una condizione di collettiva privazione della libertà di movimento senza precedenti nella storia umana – miliardi di persone costrette nelle proprie abitazioni – questa quantità di tempo a disposizione è un lusso.
Come ho già scritto altrove, il capitalismo si nutre del nostro tempo oppure ci vende il risparmio di tempo sotto forma di beni materiali, dai già citati cibi pronti ai servizi online che ci esentano dai tempi di spostamento. Tornando al nostro lievito, chi non ha a disposizione le ore necessarie a preparare la pizza partendo dagli ingredienti base, acquista una pizza surgelata che si può riscaldare in pochi minuti in un forno tradizionale o nel microonde. A parità di appetiti e preferenze alimentari, questa è la scelta più praticata da chi deve continuare a lavorare per salvaguardare vite umane, per far arrivare i beni di prima necessità nelle nostre case e per evitare che la nostra società imploda a causa di questo cigno nero che presenta parecchie striature di grigio, considerato il fatto che molti romanzi, saggi e film avevano previsto, con un’approssimazione davvero sorprendente, quanto sta avvenendo in queste settimane.
Non è possibile paragonare questa emergenza a nessun’altra crisi passata o presente. L’emergenza climatica è ciò che le si avvicina maggiormente, ma la natura della resistenza civile dei Fridays for Future è l’esatto opposto dell’emergenza coronavirus: nel caso degli scioperi per il clima, le strade e le piazze sono piene di persone, prevalentemente giovani, oggi abbiamo invece una resilienza al Covid-19 fatta di miliardi di persone isolate.
Torniamo quindi all’inizio: perché il Covid-19 è il sogno realizzato dei cronofagi? Innanzitutto, perché ci ha isolati e perché l’emergenza ci impone uno stile di vita che esalta le dinamiche cronofaghe che ho raccontato nel libro uscito un anno fa, proprio all’inizio del mese di aprile.
Riflettiamo. In quali circostanze possiamo uscire con la nostra autocertificazione fresca di giornata? Quando possiamo muoverci per raggiungere il luogo di lavoro, in modo che i servizi e i prodotti considerati di prima necessità possano continuare a essere garantiti a tutti (I beni di prima necessità comprendono anche i caccia F35, considerato il fatto che la produzione non si è fermata nemmeno dopo il rilevamento di due contagi all’interno della fabbrica di Cameri, in provincia di Novara). L’alternativa è – con tutte le restrizioni e i contingentamenti del caso – uscire per andare a fare la spesa. Restano valide, ovviamente, tutte le eccezioni riguardanti la salute e la cura delle persone.
Al contrario, non possiamo uscire – se non in un limitatissimo raggio d’azione rispetto alla nostra residenza – per fare attività motoria, per respirare un po’ d’aria e per stimolare, grazie all’irradiamento solare, la produzione di vitamina D. Non possiamo uscire per vedere le persone che amiamo, per incontrarci in un parco e per godere della bellezza della natura. Sindaci con il lanciafiamme, delatori da balcone e soldati in tuta mimetica “vegliano” sul rispetto delle regole, c’è chi evoca l’impiego dei droni come soluzione tecnologica per sorvegliare i cittadini. Quindi il virus Covid-19 è l’opportunità per legittimare nelle nostre città malvagie pratiche di controllo sociale ingiustificabili, anche al cospetto di coloro che non sono sufficientemente informati sulle modalità e sulle progressioni matematiche del contagio e, quindi, sulla necessità di mettere in atto azioni atte a evitare di rimanere chiusi per mesi nelle nostre case, in una situazione di cristallizzazione di qualsiasi relazione sociale.
Andando al succo della questione, ne consegue che, se non siamo medici o ammalati, possiamo uscire di casa soltanto in quanto produttori e/o consumatori, ma non possiamo uscire di casa per tutte quelle attività che non implicano necessariamente un esborso di denaro. In questo contesto, dunque, il carattere parassitario del capitalismo e la costante regressione e marginalizzazione delle esperienze non mercificabili si radicalizzano e, almeno per il momento, nulla fa pensare che la liquida adattabilità del neoliberismo possa incrinarsi.
Nell’emergenza l’estrazione di tempo ai danni dei lavoratori raggiunge livelli parossistici: medici e infermieri lavorano per 12, 13 o 14 ore su ritmi insostenibili, senza adeguate protezioni, eppure in una zona di privilegio diametralmente opposta c’è chi si lamenta per la limitazione forzata dei propri spostamenti. Nelle fabbriche in cui si produce il lievito gli operai devono lavorare molto di più per far fronte al repentino raddoppio della richiesta dell’ingrediente e questo accade per tutti i prodotti igienico-sanitari divenuti ricercatissimi dai consumatori.
Il ritmo della vita rallenta ma non rallenta per tutti nello stesso modo e, allo stesso tempo, accelera per i meno fortunati. Il trionfo della cronofagia, nel suo dilagare senza argini di contenimento, si manifesta anche nelle stanze di chi da un mese o più si trova in quarantena. Il sogno di Netflix di sconfiggere il sonno per implementare gli eserciti di binge-watcher è stato ampiamente soddisfatto in una maniera del tutto inattesa. Non è necessario andare alla conquista della notte ora che ci sono intere giornate da riempire. Le piattaforme digitali sono talmente sovraccariche da mettere in serio pericolo la tenuta dei server. I social e le piattaforme di video in streaming hanno ridotto la qualità di film e clip per consentire alla banda di reggere a una domanda di informazioni senza precedenti. Preclusa ogni forma di incontro e aggregazione estranea alle routinarie convivenze o colleganze, la distanza sociale e la privazione della fisicità hanno spinto le persone verso tutti i surrogati che la Rete può fornire, dalla didattica a distanza ai video-aperitivi, dai live in webcam ai festival cinematografici in streaming. Gli esseri umani hanno trovato nella Rete la soluzione per arginare un’improvvisa solitudine che per molti è insostenibile. Fatta questa premessa e riconosciuti gli innegabili aspetti positivi della Rete, il coronavirus ha consegnato, almeno per questo momento di emergenza, l’intero orizzonte delle nostre relazioni sociali a piattaforme che estraggono valore dal nostro tempo e dalla nostra attenzione. In un articolo comparso alcuni giorni fa sul quotidiano spagnolo El Pais, il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han ha sottolineato i pericoli nascosti in quella che, ad oggi, sembra a tutti una boa alla quale aggrapparsi in un oceano di incertezza e solitudine: La digitalizzazione rimuove la realtà. La realtà è vissuta grazie alla resistenza che offre e che può anche essere dolorosa. La digitalizzazione, l’intera cultura dei “Mi piace”, sopprime la negatività della resistenza. E nell’era post-fattuale delle fake news e dei deepfakes sorge un’apatia di fronte alla realtà. Quindi, in questo caso, è un virus reale e non un virus informatico quello che causa lo shock. La realtà, la resistenza, torna a farsi notare sotto forma di un virus nemico. La violenta ed esagerata reazione di panico di fronte al virus si spiega in funzione di questo shock della realtà.
Nell’emergenza, i servizi di e-commerce e di food delivery continuano a fare le loro consegne come se chi guida un furgone o pedala con uno zaino sulle spalle avesse un sistema immunitario differente. Il capitale non si ferma, per parafrasare lo sventurato claim patogeno lanciato nel capoluogo lombardo all’inizio di febbraio. Coloro che restano confinati fra le mura di casa continuano a essere – grazie alle piattaforme digitali – produttori (di contenuti e di dati) e consumatori (di prodotti materiali e immateriali). Il capitale non si ferma.
Se c’è un tempo per ripensare il tempo, quel tempo è ora. Non si tornerà più alla normalità, perché la normalità era il problema. Dovremo abituarci a viaggiare meno, a consumare meno, a redistribuire le risorse in maniera più equa. Come spiega Byung-Chul Han nell’epilogo del suo intervento su El Pais,
il virus non sconfiggerà il capitalismo. La rivoluzione virale non si produrrà. Nessun virus è capace di fare la rivoluzione. Il virus ci isola e ci individualizza. Non genera alcun sentimento collettivo forte. In qualche modo, ognuno si preoccupa della propria sopravvivenza. La solidarietà consistente nell’osservare mutue distanze non è una solidarietà che permetta di sognare una società diversa, più pacifica, più giusta. Non possiamo lasciare la rivoluzione nelle mani del virus. Confidiamo nel fatto che dopo il virus arrivi una rivoluzione umana. Siamo NOI, PERSONE dotate di RAGIONE, che dobbiamo ripensare e restringere radicalmente il capitalismo distruttivo e anche la nostra illimitata e distruttiva mobilità, per salvare noi, per salvare il clima e il nostro bel pianeta.
Naturalmente nodi centrali di questa rivoluzione decisiva saranno la difesa del Welfare, della privacy e di un tempo sociale de-digitalizzato e decelerato, nel quale solidarietà, cooperazione e accrescimento individuale siano essenziali e non marginalizzati in aree di eccezione.
di Davide Mazzocco
Non torneremo alla normalità,
perché la normalità era il problema.
- Matías Segura, Cile, autunno 2019
Il virus Covid-19 è il sogno realizzato dei cronofagi. Con buona pace di chi lo pensa, non sarà il nuovo coronavirus ad assestare il colpo mortale al sistema capitalistico, anzi, sul breve e medio termine, la pandemia in corso sta portando a livelli parossistici le pratiche predatorie del neoliberismo.
Pensiamoci bene. Esaminiamo l’emergenza Covid-19 nella sua dimensione temporale, pensiamo alla spaccatura che ha creato in pochi giorni fra chi è costretto a uscire di casa e a mettere il proprio corpo in pericolo, rischiando la propria salute, e chi si trova nel proprio domicilio, con limitate possibilità di contrarre il virus. Da una parte, quindi, persone che compiono – negli ospedali, sulle strade e nelle fabbriche – una vera e propria lotta contro il tempo. Dall’altra persone che si ritrovano a gestire un capitale di tempo ritrovato con il quale riscoprire attività trascurate per anni o mai sperimentate prima d’ora.
Un fatto. Nelle prime due settimane di lockdown, il lievito è diventato pressoché introvabile: all’interno dei punti vendita della Coop si è registrato un +122% di acquisti. La difficoltà nel reperire questo ingrediente fondamentale per la preparazione di pasta, pane e torte fatti in casa rappresenta un’interessante cartina di tornasole della traumatica crono-disuguaglianza che sta spaccando in due la nostra società.
Da una parte abbiamo persone che si possono permettere il lusso di preparare prodotti partendo dalle materie prime (farina, acqua, lievito, sale, olio) e dall’altra abbiamo persone costrette a lavorare su turni disumani e a nutrirsi verosimilmente con cibi pronti o alimenti di facile e rapida preparazione, i surgelati per esempio.
Nel tempo dilatato della quarantena alcune persone hanno il tempo necessario per lavorare l’impasto, lasciarlo riposare e cuocerlo. Un lavoro ben fatto non è questione di minuti ma di ore. Anche se ci si trova in una condizione di collettiva privazione della libertà di movimento senza precedenti nella storia umana – miliardi di persone costrette nelle proprie abitazioni – questa quantità di tempo a disposizione è un lusso.
Come ho già scritto altrove, il capitalismo si nutre del nostro tempo oppure ci vende il risparmio di tempo sotto forma di beni materiali, dai già citati cibi pronti ai servizi online che ci esentano dai tempi di spostamento. Tornando al nostro lievito, chi non ha a disposizione le ore necessarie a preparare la pizza partendo dagli ingredienti base, acquista una pizza surgelata che si può riscaldare in pochi minuti in un forno tradizionale o nel microonde. A parità di appetiti e preferenze alimentari, questa è la scelta più praticata da chi deve continuare a lavorare per salvaguardare vite umane, per far arrivare i beni di prima necessità nelle nostre case e per evitare che la nostra società imploda a causa di questo cigno nero che presenta parecchie striature di grigio, considerato il fatto che molti romanzi, saggi e film avevano previsto, con un’approssimazione davvero sorprendente, quanto sta avvenendo in queste settimane.
Non è possibile paragonare questa emergenza a nessun’altra crisi passata o presente. L’emergenza climatica è ciò che le si avvicina maggiormente, ma la natura della resistenza civile dei Fridays for Future è l’esatto opposto dell’emergenza coronavirus: nel caso degli scioperi per il clima, le strade e le piazze sono piene di persone, prevalentemente giovani, oggi abbiamo invece una resilienza al Covid-19 fatta di miliardi di persone isolate.
Torniamo quindi all’inizio: perché il Covid-19 è il sogno realizzato dei cronofagi? Innanzitutto, perché ci ha isolati e perché l’emergenza ci impone uno stile di vita che esalta le dinamiche cronofaghe che ho raccontato nel libro uscito un anno fa, proprio all’inizio del mese di aprile.
Riflettiamo. In quali circostanze possiamo uscire con la nostra autocertificazione fresca di giornata? Quando possiamo muoverci per raggiungere il luogo di lavoro, in modo che i servizi e i prodotti considerati di prima necessità possano continuare a essere garantiti a tutti (I beni di prima necessità comprendono anche i caccia F35, considerato il fatto che la produzione non si è fermata nemmeno dopo il rilevamento di due contagi all’interno della fabbrica di Cameri, in provincia di Novara). L’alternativa è – con tutte le restrizioni e i contingentamenti del caso – uscire per andare a fare la spesa. Restano valide, ovviamente, tutte le eccezioni riguardanti la salute e la cura delle persone.
Al contrario, non possiamo uscire – se non in un limitatissimo raggio d’azione rispetto alla nostra residenza – per fare attività motoria, per respirare un po’ d’aria e per stimolare, grazie all’irradiamento solare, la produzione di vitamina D. Non possiamo uscire per vedere le persone che amiamo, per incontrarci in un parco e per godere della bellezza della natura. Sindaci con il lanciafiamme, delatori da balcone e soldati in tuta mimetica “vegliano” sul rispetto delle regole, c’è chi evoca l’impiego dei droni come soluzione tecnologica per sorvegliare i cittadini. Quindi il virus Covid-19 è l’opportunità per legittimare nelle nostre città malvagie pratiche di controllo sociale ingiustificabili, anche al cospetto di coloro che non sono sufficientemente informati sulle modalità e sulle progressioni matematiche del contagio e, quindi, sulla necessità di mettere in atto azioni atte a evitare di rimanere chiusi per mesi nelle nostre case, in una situazione di cristallizzazione di qualsiasi relazione sociale.
Andando al succo della questione, ne consegue che, se non siamo medici o ammalati, possiamo uscire di casa soltanto in quanto produttori e/o consumatori, ma non possiamo uscire di casa per tutte quelle attività che non implicano necessariamente un esborso di denaro. In questo contesto, dunque, il carattere parassitario del capitalismo e la costante regressione e marginalizzazione delle esperienze non mercificabili si radicalizzano e, almeno per il momento, nulla fa pensare che la liquida adattabilità del neoliberismo possa incrinarsi.
Nell’emergenza l’estrazione di tempo ai danni dei lavoratori raggiunge livelli parossistici: medici e infermieri lavorano per 12, 13 o 14 ore su ritmi insostenibili, senza adeguate protezioni, eppure in una zona di privilegio diametralmente opposta c’è chi si lamenta per la limitazione forzata dei propri spostamenti. Nelle fabbriche in cui si produce il lievito gli operai devono lavorare molto di più per far fronte al repentino raddoppio della richiesta dell’ingrediente e questo accade per tutti i prodotti igienico-sanitari divenuti ricercatissimi dai consumatori.
Il ritmo della vita rallenta ma non rallenta per tutti nello stesso modo e, allo stesso tempo, accelera per i meno fortunati. Il trionfo della cronofagia, nel suo dilagare senza argini di contenimento, si manifesta anche nelle stanze di chi da un mese o più si trova in quarantena. Il sogno di Netflix di sconfiggere il sonno per implementare gli eserciti di binge-watcher è stato ampiamente soddisfatto in una maniera del tutto inattesa. Non è necessario andare alla conquista della notte ora che ci sono intere giornate da riempire. Le piattaforme digitali sono talmente sovraccariche da mettere in serio pericolo la tenuta dei server. I social e le piattaforme di video in streaming hanno ridotto la qualità di film e clip per consentire alla banda di reggere a una domanda di informazioni senza precedenti. Preclusa ogni forma di incontro e aggregazione estranea alle routinarie convivenze o colleganze, la distanza sociale e la privazione della fisicità hanno spinto le persone verso tutti i surrogati che la Rete può fornire, dalla didattica a distanza ai video-aperitivi, dai live in webcam ai festival cinematografici in streaming. Gli esseri umani hanno trovato nella Rete la soluzione per arginare un’improvvisa solitudine che per molti è insostenibile. Fatta questa premessa e riconosciuti gli innegabili aspetti positivi della Rete, il coronavirus ha consegnato, almeno per questo momento di emergenza, l’intero orizzonte delle nostre relazioni sociali a piattaforme che estraggono valore dal nostro tempo e dalla nostra attenzione. In un articolo comparso alcuni giorni fa sul quotidiano spagnolo El Pais, il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han ha sottolineato i pericoli nascosti in quella che, ad oggi, sembra a tutti una boa alla quale aggrapparsi in un oceano di incertezza e solitudine: La digitalizzazione rimuove la realtà. La realtà è vissuta grazie alla resistenza che offre e che può anche essere dolorosa. La digitalizzazione, l’intera cultura dei “Mi piace”, sopprime la negatività della resistenza. E nell’era post-fattuale delle fake news e dei deepfakes sorge un’apatia di fronte alla realtà. Quindi, in questo caso, è un virus reale e non un virus informatico quello che causa lo shock. La realtà, la resistenza, torna a farsi notare sotto forma di un virus nemico. La violenta ed esagerata reazione di panico di fronte al virus si spiega in funzione di questo shock della realtà.
Nell’emergenza, i servizi di e-commerce e di food delivery continuano a fare le loro consegne come se chi guida un furgone o pedala con uno zaino sulle spalle avesse un sistema immunitario differente. Il capitale non si ferma, per parafrasare lo sventurato claim patogeno lanciato nel capoluogo lombardo all’inizio di febbraio. Coloro che restano confinati fra le mura di casa continuano a essere – grazie alle piattaforme digitali – produttori (di contenuti e di dati) e consumatori (di prodotti materiali e immateriali). Il capitale non si ferma.
Se c’è un tempo per ripensare il tempo, quel tempo è ora. Non si tornerà più alla normalità, perché la normalità era il problema. Dovremo abituarci a viaggiare meno, a consumare meno, a redistribuire le risorse in maniera più equa. Come spiega Byung-Chul Han nell’epilogo del suo intervento su El Pais,
il virus non sconfiggerà il capitalismo. La rivoluzione virale non si produrrà. Nessun virus è capace di fare la rivoluzione. Il virus ci isola e ci individualizza. Non genera alcun sentimento collettivo forte. In qualche modo, ognuno si preoccupa della propria sopravvivenza. La solidarietà consistente nell’osservare mutue distanze non è una solidarietà che permetta di sognare una società diversa, più pacifica, più giusta. Non possiamo lasciare la rivoluzione nelle mani del virus. Confidiamo nel fatto che dopo il virus arrivi una rivoluzione umana. Siamo NOI, PERSONE dotate di RAGIONE, che dobbiamo ripensare e restringere radicalmente il capitalismo distruttivo e anche la nostra illimitata e distruttiva mobilità, per salvare noi, per salvare il clima e il nostro bel pianeta.
Naturalmente nodi centrali di questa rivoluzione decisiva saranno la difesa del Welfare, della privacy e di un tempo sociale de-digitalizzato e decelerato, nel quale solidarietà, cooperazione e accrescimento individuale siano essenziali e non marginalizzati in aree di eccezione.